Il sospetto.

Amica mia,

Siamo alle solite! Noi non riusciremo a metterci d’accordo mai. Non neghiamo i fatti, non ne disconosciamo il significato, ma diamo ad essi un diverso valore: ciò che io considero come regola, a lei pare eccezione, e viceversa.

E se provassimo un poco a rammentarci di quel precetto secondo il quale ogni eccezione è conferma della regola? Ecco qui, per esempio: ella se la prende un’altra volta con me perchè «sfondo le porte aperte.» Dovendo provarle che, in amore, gli uomini mettono sentimenti rari, forti, delicati; dovendo darle una prova della poesia con la quale essi sanno condire le cose meno poetiche, le ho narrato l’avventura d’uno dei più insigni poeti, di un Principe del Pensiero. «Che Sua Altezza sia tant’alta non è da stupire! Ma per un Principe capace di fare ciò che m’avete riferito, che spaventevole numero di borghesi bassissimi ed infimi i quali non amano — cercate un’altra parola! io non voglio profanar questa usandola a tale proposito! — se non nei luoghi dove il vostro cavaliere fece la veglia dell’arme? Invece le donne capaci di soli amori d’epidermide esistono, sì; ma sono, per buona sorte e ad onore del nostro sesso, tanto poche che, quando ne trovate qualcuna, voi la considerate come un’inferma degna non solo di compatimento ma anche di cure. Senza un qualche morale richiamo — e siano pure, come voi dite, quelli poco morali della vanità e della curiosità — le donne non capiscono ciò che voi altri capite troppo bene. Molte volte, è vero, il sentimento della pietà le spinge ad appagare i loro amanti per farne cessare le pene, per vederli lieti e felici; molte volte ancora l’idea di padroneggiarli, di farne quel che vogliono, le riduce a fare ciò che vogliono essi; ma sia l’idea di un dominio da esercitare, sia la commozione pietosa, siano gli eccitamenti della curiosità, siano le soddisfazioni di vanità procurate dall’adulazione mascolina, bisogna che almeno un’idea, se non proprio un sentimento o un affetto, le persuada e le pieghi. Senza di ciò, state pur certo che tutte saranno dell’opinione della duchessa d’Orléans....»

Se ella pone così la quistione, io le dirò, contessa, che sono del suo parere e che non abbiamo più bisogno di discutere. Che le femmine animali siano fredde e si possano considerare addirittura come ghiacciate a paragone dei maschi ardentissimi, è un fatto che la storia naturale dimostra fino all’evidenza. Che l’ardore dei sensi sia estremo negli uomini, e che i sensi muliebri non ardano come fiamma, ma covino piuttosto come brace sulla quale occorre soffiare perchè dia vampe e riscaldi, lo abbiamo già detto, nessuno lo mette in dubbio e non accade più dimostrarlo. Ma perchè nella costituzione dei sessi corre questa differenza innegabile, dovremo noi dire, come a lei piace, che tutte le donne sono come la duchessa d’Orléans? Dichiarava costei che quella di fare i figliuoli è «une vilaine, sotte et dangereuse chose qui ne m’a jamais plu». Ma se ella mi concede che, a parte le differenze araldiche, una marchesa vale, come donna, quanto una duchessa, io le riferirò l’opinione della marchesa di Richelieu, la figlia della duchessa di Nevers. «Tous les romans qui paraissent,» diceva dunque la marchesa di Richelieu all’abate di Grécourt, «sont bien denoués d’évènements piquants; si j’écrivais ma vie, vous verrez bien d’autres aventures. Par exemple, en allant un jour à la campagne, je fus arrêtée dans un bois, loin de tout secours, par un voleur. Mes gens prirent la fuite; quand il m’eut bien volée, le galant s’avisa de me trouver belle et, en conséquence, il fallut passer par ce qu’il voulut; il demandait d’une façon si pressante et si tendre — avec un pistolet à la main — qu’il n’y avait pas le moyen de le refuser. Eh bien, l’abbé, croirez-vous bien qu’il y eut un moment où je ne pus m’empêcher d’écrier: Ah! charmant voleur! Oh! voleur charmant!...»

Bisogna credere, è vero? alla narratrice; perchè la sua confessione è di quelle che, per universale consenso, recano pregiudizio alla reputazione di una donna; ma se l’avventura le pare poco persuasiva come troppo romanzesca, io glie ne narrerò un’altra assolutamente autentica. Il fatto è successo in Sicilia ed è per molti rispetti caratteristico dei costumi isolani.

C’era una volta un avvocato, giovane, nè bello nè brutto, eccessivamente barbuto, con due occhi che parevano cinti di fiamme, il quale s’era innamorato a modo suo d’una buona e bella signora, lontana sua parente. Dico che s’era innamorato a modo suo, perchè, senza parlarle mai d’amore, non pensava ad altro che ad averla. È pur vero che se non le parlava d’amore ciò dipendeva dalla difficoltà di parlarle d’una cosa qualunque. Ella avrà sentito dire che laggiù i mariti sono molto gelosi; e se pure, a suo giudizio, gli uomini sentono tutti ad un modo, non mi negherà che la diversa latitudine sotto la quale vivono eserciti una certa influenza almeno sui costumi; ora in Sicilia, se la gelosia non è più fortemente sentita, è certo che i gelosi hanno maggiori mezzi di garentirsi. La libertà che le signore godono nel mondo un po’ cosmopolita delle grandi città continentali è ignorata nell’isola rude e mezzo selvaggia; la casa maritale ha ancora molto dell’harem dove nessun altro fuorchè il signore può penetrare. A poco a poco la civiltà occidentale distrugge queste tradizioni, specialmente nelle classi più alte; ma il caso che un uomo innamorato non possa trovar mezzo d’accostare la donna amata, anche innocentissimamente, nè in casa di lei, nè in casa altrui, nè per istrada, nè in chiesa, è tutt’altro che raro. Il nostro avvocato, però, vedeva di tanto in tanto la signora da certe comuni cugine. Tutte le volte che la incontrava lì, i suoi occhi mandavano vampe più fosche. Ella era una di quelle donne semplici e pudiche che, dal modo col quale si vestono al modo col quale guardano — o meglio, non guardano — tolgono ogni speranza ai seduttori. Aveva il viso bianco, quasi pallido, un po’ magro; i capelli nerissimi, raccolti in una treccia attorcigliata sulla nuca; le forme modeste, l’aria dolce e serena. L’avvocato struggevasi, arso, disperato; quando un giorno, andato da quelle sue parenti e non trovatele in casa, la vide apparire mentre egli stava per andarsene. Veniva a cercare anch’ella delle cugine, e udendo che non c’erano si disponeva a tornarsene indietro dopo essersi riposata un istante; ma l’avvocato concepì repentinamente un piano di aggressione. Mandata via la persona di servizio con un pretesto qualunque e chiuso a chiave l’uscio, si gettò ai piedi della donna. Ella s’alzò, gridando dalla paura, tentando di sfuggirgli. Ma l’altro che — come quasi tutti i suoi conterranei — portava sempre a spasso il revolver, lo cavò di tasca e ne diresse la canna contro il petto dell’inerme e debole creatura. Consideri dunque: abbiamo qui una donna naturalmente casta, alla quale non è stata detta una parola d’amore, che si vede aggredita inopinatamente e selvaggiamente, che è minacciata di morte; alla quale il disgusto, l’orrore, il terrore, tolgono quasi i sensi. Orbene: quando l’avvocato la ebbe, con mezzi così eloquenti, persuasa a udire ciò che aveva da dirle, ella rimase muta e sorda; ma quando egli, non contento di una prima.... dichiarazione, la ripetè con nuova lena, ella si riscosse, e la terza volta anche gli rispose....

Ella nega ancora, dice che tutto ciò non prova niente. E io le dirò che, prima di credere alle donne che dichiarano di sentire repugnanza per l’amor fisico, bisogna aspettare di vederle in presenza di un Ottavio di Malivert. E siccome ho cominciato con le storielle, eccone subito un’altra.

Personaggi: Lui e Lei. Lui faceva la corte a Lei. Dicendo corte, non adopero un’espressione molto propria, perchè essa implica l’idea d’una certa tal quale disinvolta leggerezza, poco compatibile con la passione vera. E Lui amava Lei appassionatamente. Era un uomo d’affari; ma, giovanissimo ancora, le cifre ed i conti non gli avevano tolto il bisogno e la capacità d’un puro affetto. Lei non era alle prime armi; anzi molto sinceramente soleva dire che con i grandi lavoratori, con gli artisti, con tutta la gente che ha poco tempo da perdere, non bisogna eccedere nella resistenza. Tuttavia, quanto più era abituata a cadere, tanto più aveva bisogno di dimostrare agli altri ed a sè stessa che solo l’irresistibile slancio dell’anima determinava le sue molteplici cadute; quindi, benchè disposta, per dirla col gergo legale, ad affrettare i termini, pure recitava la commedia del sentimento e allontanava il momento della capitolazione. Ciò le riusciva tanto più facile, quanto più sincero era l’amore che il giovane le portava. Non sapeva costui adoperare se non il linguaggio della più devota e disinteressata passione; e le confessava la passione sua con tanti riguardi e scrupoli, che ella temette veramente d’essersi mostrata troppo crudele e d’aver tolto ogni ardire a quel poveromo parlandogli troppo del cielo, delle stelle, delle anime erranti e degli angelici sponsali. Pensò dunque che le convenisse scendere un poco verso terra perchè egli non dimenticasse che entrambi erano di carne.

E infatti, quando, senza offrirgli nulla, ella gli suggerì l’idea di prendere tutto — arte della quale ogni donna è maestra — egli tentò, delicatamente, timidamente, di prendere non tutto, ma qualche cosa; proprio in quel punto, pensando che un ultimo conato di resistenza non era fuori di posto, ella si ritrasse, come crucciata.

Una parte degli uomini sono brutali per paura di parer timidi; l’altra parte sono timidi per paura di parer brutali. Il nostro eroe apparteneva a questa seconda categoria. Lasciò pertanto a mezzo i suoi tentativi ed implorò perdono, giurando che non le avrebbe chiesto nulla, mai più, pago e superbo della felicità di saperla, con l’anima, sua.... Però, com’è naturale, la visione di ciò che avrebbe potuto ottenere se ella non fosse stata tanto severa gl’impedì di continuare a contentarsi della troppo spirituale comunione; e violentemente combattuto dai nuovi desiderii e dal timore di mancare alla data promessa e di offendere la creatura amata, un bel giorno prese una decisione che le dimostrerà fino a che segno egli fosse sincero e starei per dire ingenuo nella sua passione: fece le valige e partì.

Imagini adesso lo stupore e la contrarietà della dama! Ella s’era dunque mostrata tanto inumana da spingerlo a quel passo estremo? Più esaminava la propria condotta, più si persuadeva di no. Aveva opposto, è vero, qualche difficoltà, ma — Dio buono! — soltanto per non essere confusa con quelle donne che non ne oppongono per professione. Allora?... Che il suo adoratore fosse talmente innamorato da perder di mira il fine ultimo dell’amore, ella non poteva capire; nessuno aveva spinto con lei il rispetto fino a questo segno; neppure quando, più pura, ella ne era veramente degna. Allora?... Allora?... Del resto, egli aveva fatto, sì, un primo ed unico tentativo; ma con tanta fiacchezza, come per darle il tempo d’interromperlo. Allora?... Allora?... Allora?...

Ma ella avrebbe presto ottenuto la spiegazione dì quella condotta! Prima di partire, il troppo rispettoso e obbediente amatore le aveva lasciato una lettera nella quale, con adeguate parole, le diceva che non l’avrebbe più riveduta, che fuggiva non reggendo al tormento di dover stare dinanzi a lei come dinanzi a un’imagine; ma che viceversa avrebbe portato l’imagine di lei nel cuore, sempre, fino alla morte. Ella gli rispose con poche parole, semplici, ma molto eloquenti: «Non è permesso lasciare una donna così, dopo averle tolto la pace dell’anima. Tornate subito e venite a spiegarvi. Dopo, farete quel che vorrete.» E per evitare altri equivoci aggiunse: «Vi aspetterò a casa mia, il giorno tale, all’ora tale; ci sarò per voi solo.»

Egli tornò. E il giorno tale, all’ora tale, si presentò da lei. Il cuore gli batteva così forte come se gli si volesse schiantare, i suoi occhi guardavano senza vedere; e con la gola strozzata il poveretto non sapeva come avrebbe potuto dire una sola parola. Aveva creduto di non più rivedere l’amata, e adesso era sul punto di trovarsela accanto. Che cosa dirle? Doveva confessarle il disperato dolore sofferto nel prendere la risoluzione disperatissima, il vuoto che gli s’era fatto intorno lontano da lei, l’orrore d’una vita alla quale era mancato a un tratto ogni scopo?... Ma se egli sentiva di dover dire queste cose, le sue labbra erano suggellate; e appena la vide, appena strinse la mano che ella gli tendeva, non potè più dominare la commozione: due lacrime gli spuntarono sugli occhi. Allora, senza tante storie, ella gli buttò le braccia al collo, esclamando:

— Ma dunque?... Perchè?... Perchè partire? Perchè lasciarmi?... — e come meglio gli venne fatto, rispondendo agli abbracci ed ai baci di lei, egli disse tutto quel che aveva nel cuore. Allora il duetto divenne un a due di passione impetuosa e trionfante che avrebbe riscosso gli applausi della platea, se simili scene si rappresentassero in pubblico; ma nel momento che il tenore doveva metter fuori la nota più acuta, sentì mancarsi improvvisamente la voce e fece quel fiasco che, secondo Stendhal, è, alle prime rappresentazioni, troppo frequente. Tuttavia, se la commozione gl’impedì di sfoggiare i suoi mezzi, più tardi, calmatosi, egli tornò a disporne.... e da quel giorno la coppia felice restò legata dal più dolce nodo.

Passò del tempo, e col tempo, come accade di tutte le cose di questo povero mondo, la passione di lui cominciò a intepidirsi, ma restò sempre forte il desiderio. Poichè egli era sincero, la cosa fu manifesta; mentre ella, che avea finto prima, continuava con eguale facilità a fingere dopo e a non giurare se non sopra l’immateriale connubio dell’anime. Egli voleva farle riconoscere che anche l’altro ha del buono, ma tutto era inutile.

— No, — sentiva rispondersi, — non mi parlare di ciò; mi fai male. Per noi donne esistono soltanto le ragioni del cuore e dell’anima; ci rassegniamo al resto non potendo fare altrimenti; ma se voi foste capaci d’intenderci, come saremmo felici!...

Allora egli replicava:

— Perchè mai dunque mi richiamasti, quando partii?

— Perchè non si lascia una persona amata nel barbaro modo col quale tu mi lasciasti! Perchè volevo vederti un’ultima volta!

Egli dunque disperava di farle riconoscere ciò che, nel suo intimo, colei doveva riconoscere indubbiamente; quando una volta, discorrendo del passato, si decise a domandarle una cosa della quale era curioso, ma che aveva taciuta perchè non lusingava il suo amor proprio. La domanda era questa: che cosa aveva ella pensato la prima volta che erano stati insieme, quando, nel provare il duetto d’amore, sul più bello gli s’era abbassata la voce?... Ella si mise a sorridere, ma non volle dir niente; e l’altro dovette insistere un pezzo prima di sentirsi rispondere:

— Pensai.... pensai che tu non ne avessi molta....

Egli reprimeva un trionfale scoppio di risa. Dunque, mentre era fuggito per troppo rispetto, per troppa obbedienza, per troppo amore, torturandosi all’idea di averla perduta, d’averla voluta perdere, ella aveva creduto.... che cosa?...

— Che cosa credesti, dunque?...

Candidamente ella rispose:

— Eh! dissi tra me: è dunque scappato perchè non può cantare!...

CC BY-SA 4.0

Rechtsinhaber*in
Ulrike Henny-Krahmer

Zitationsvorschlag für dieses Objekt
TextGrid Repository (2024). Collection of Italian Short Stories and Novellas (1880s-1920s). Il sospetto. Il sospetto. The CLiGS textbox. Ulrike Henny-Krahmer. https://hdl.handle.net/21.T11991/0000-001D-9D6B-9