Uno scrupolo di Don Giovanni.

Protesti, gridi e strilli fin che le pare, cara contessa mia; ma ella non mi rimoverà dalla mia opinione — dalla mia certezza. Gli uomini, in amore come nel resto, sono più logici. E poichè discutere astrattamente non giova, ma conviene addurre le prove di ciò che s’afferma, io le voglio subito provare, con un altro fatto, l’affermazione mia.

I Don Giovanni, avendo qualcosa della natura effeminata, non sono capaci di sentimenti duraturi e non hanno una coscienza coerente come tutti gli altri uomini — è vero? Orbene, io voglio narrarle uno scrupolo di Don Giovanni!

Don Giovanni adunque (lasciamogli questo nome che vale e quindi risparmia una biografia) aveva spezzato l’esistenza della povera Principessa. Alla nostra debolezza di «umili marionette,» come dice magnificamente un poeta,

dont le fil est aux mains de la necessité,

giova addurre, nelle meritate disgrazie, l’impossibilità di prevedere l’avvenire, l’eterna congiura delle illusioni, l’inganno universale del quale siamo predestinate ed immancabili vittime. La Principessa non aveva neppure questo conforto. Il passato di Don Giovanni, non che esserle ignoto, era stato anzi il massimo fattore della seduzione esercitatasi su lei. Chi nega la potenza seduttrice dei Don Giovanni, addebitando le loro fortune all’insania muliebre, è ordinariamente colui che nel secreto del proprio animo più invidia questa potenza e più si strugge di possederla. Altro è però accertarne l’esistenza, altro è definirne l’essenza. Si nasce col dono di piacere alle donne, come si nasce con la facoltà di condurre a bene gli affari. Ed a quel modo che i primi quattrini sono i più difficili da mettere insieme, così pure le prime conquiste costano sforzi maggiori. E’ nota ai fisici la potenza d’attrazione che risiede nei grandi cumuli di materia: vicino a una rupe il filo a piombo non cade più verticalmente ma s’inclina dalla parte del masso; le nuvole vagabonde corrono incontro alle grandi montagne. Qualcosa di simile deve accadere al morale, se tante creature non resistono al fascino di chi, avendo fatto strage dei cuori, sembra avere accumulato nel cuore suo proprio grandi tesori di sentimento...

La Principessa s’era dunque gettata nelle braccia di Don Giovanni senza ragionare, o meglio ragionando come tutti i veri amanti, agli occhi dei quali non esistono altre ragioni fuorchè quelle della persona amata. Rinunziava ella al suo posto nel mondo, ne affrontava i severi giudizii, andava incontro alle difficoltà materiali della vita, sacrificava la pace e l’onore del marito e — ahimè! — dei figli? Ma tutto ciò avrebbe dato a Don Giovanni la misura della passione che egli aveva ispirata! Era a lei vietato sperarne il ricambio, e il passato di quell’uomo escludeva la possibilità ch’egli si dedicasse tutto, sinceramente, ad un’affezione? Ma ella aveva tanto pensato e vissuto che non poteva più nutrire certe illusioni. Se l’eguaglianza sociale è una sublime utopia, della quale alcuni spiriti generosi prevedono il conseguimento in un avvenire più o meno lontano, chi potrà mai sognare che l’eguaglianza si estenda alle anime, ai cuori, alle coscienze degli uomini? L’esperienza di questa ineluttabile disparità è altrettanto dolorosa e frequente nelle vicende sentimentali quanto in tutte le altre della vita: se non si sente molto parlarne, egli è che i vinti dell’amore non scrivono sui giornali e non tengono comizii...

Torniamo però alla nostra eroina. Ella si era trovata, per sua disgrazia — e forse per vendetta di tanti uomini indegnamente immolati — dinanzi a un compare Turiddu, al Don Giovanni che sulla piazza del villaggio o nel salotto della grande città resta sempre eguale a sè stesso. Siccome è troppo raro che la previsione e l’attesa del dolore ne scemino l’intensità, così la Principessa, benchè sapesse che cosa era quell’uomo, sofferse atrocemente provandolo; ma l’amore di lei — vecchia storia! — cresceva in diretta ragione della freddezza di lui. Ella gustava un’amara e mortale voluttà nel proprio sacrifizio; e finchè Don Giovanni non la respinse, si stimò ancora fortunata e felice. Don Giovanni però cominciava a stancarsi. Egli aveva accettato il sacrifizio dell’amante come una cosa naturale e quasi dovuta, poichè egli le aveva concesso l’insigne onore di preferirla a quante se lo contendevano. Vedere in quel sacrifizio la prova d’un prepotente e sovrumano amore gli era impossibile, se nell’amore egli non aveva mai visto null’altro fuorchè il capriccio. E soddisfatto il suo capriccio per lei, era inevitabile che egli ne concepisse uno nuovo. Fra le tante donne che tacitamente gli s’offerivano, chi preferì? Una creatura che era stata di chi l’aveva voluta: la più indegna, — vo’ dire la più degna di lui. E poichè la Principessa si ribellò finalmente a quell’oltraggio, e pianse, e implorò, e gli rinfacciò la propria rovina, e negò che quell’altra potesse amarlo quanto l’aveva amato e quanto l’amava ella stessa, egli le significò che non la voleva più.

La Principessa non morì; non impazzì nemmeno. Come questo fosse possibile il mondo non seppe. Eppure è semplicissimo. L’esasperato amor suo per quell’uomo la sostenne, come dicono che certe febbri mantengono la vita. Quante lacrime ella pianse ai piedi di Don Giovanni, quali accenti trovò per vincerne la freddezza, che preghiere, che rampogne, che minacce uscirono dalle sue labbra aride e ardenti, io non le dirò: uno spasimo simile s’immagina più presto che non si descriva. Tutto inutile: ella fu congedata. Che sarebbe dunque avvenuto di lei ora che la stessa speranza era morta?... Non era morta! La Principessa sperava ancora!... Ella ebbe una forza veramente straordinaria e diede un esempio veramente poco credibile di costanza nell’abbandono, di fede dinanzi al cinismo e di rassegnazione, anzi di umiltà, anzi di pazzia. Accettò, la sentenza di Don Giovanni; non volle più essergli d’ostacolo, credette all’amore della rivale poiché egli lo accettava e lo preferiva al suo, e si trasse in disparte — aspettando. Che cosa?...

Non andò via, non evitò lo spettacolo della felicità toccata alla rivale, non fuggì la vista dell’antico amante. Nei giorni più fortunati la gioia di lei non era stata mai pura: come di un veleno preso lungamente a dosi sempre più forti, ella aveva contratto l’abitudine del dolore; e il veleno le era divenuto quasi necessario. Ma ella non viveva del presente; se questo fosse stato ancora più triste ed oscuro, se la tortura di lei fosse stata cento volte più atroce, la luce che ella vedeva brillare lontano, l’idea del premio che l’aspettava, le avrebbero tolto, come le toglievano, d’avvertire la miseria dove era caduta. E la speranza della Principessa era questa: un giorno, immancabilmente, Don Giovanni si sarebbe stancato della sua nuova fantasia; allora, forse, egli non avrebbe più opposto la spietata indifferenza di prima allo schianto di lei. Prima, l’aveva duramente respinta perchè ella gli contendeva il nuovo capriccio; sazio e stanco, non avrebbe forse rifiutato di rivederla... Non doveva dunque esser proprio pazza questa infelice se, invece di trarre profitto dalla separazione per tentar di guarire radicalmente, fondava le sue speranze sull’abitudine che quell’uomo aveva del tradimento, e lo amava ancora dopo che ella stessa era stata tradita una prima volta, e lo sospirava ancora per essere tradita una seconda?... Pazza, sì, era pazza; ma come son pazzi gli uomini che dopo avere assaggiato il tossico dell’esistenza, sul punto di guarire del mal della vita, chiedono a mani giunte che sia loro prolungata d’un giorno, d’un’ora... E sono essi proprio pazzi, o non piuttosto vittime d’un inganno fatale? Nel momento che invocano la continuazione di questa esistenza, ne ricordano forse l’amaro? In quel momento non ne vedono altro che le promesse, credono di poter evitare gli errori, sperano di esser felici... Così quella donna scagionava in cuor suo Don Giovanni, scusava il suo scetticismo pensando che egli non aveva incontrato ancora l’amor vero, e intendeva compiere un’opera di redenzione infondendo la fede in quell’arido cuore con lo spettacolo della salda fede che ella stessa nutriva.

Il momento sperato, previsto, aspettato, al fine arrivò. Don Giovanni s’annoiava, cercava qualche altra cosa. Allora ella gli andò incontro.

Era passato più d’un anno dalla separazione violenta e crudele, ma la piaga della povera donna sanguinava come il primo giorno, quasi che il tempo non fosse trascorso per lei; e se il dolore la mordeva come quel giorno, la speranza che ella aveva educata l’abbandonava ora ad un tratto appena visto quell’uomo. Lontana da lui, il calcolo sul quale aveva fatto assegnamento le era parso sicuro; in cospetto di Don Giovanni ne comprendeva repentinamente l’insania, e riconosceva la fallacia dei propri disegni, e si vedeva irremissibilmente perduta. Nell’istante che il suo sguardo incontrò lo sguardo di Don Giovanni, ella provò l’impressione di chi sta per annegare, e un senso d’ineffabile sgomento e di vergogna, e il bisogno di fuggire, di nascondere a quell’uomo, a quell’estraneo, a quel nemico, la propria debolezza e la propria miseria. Ma, d’improvviso, prima che una sola parola fosse pronunziata, l’ambascia che le serrava il cuore si risolse in una tempesta di lacrime, di singhiozzi, di lamenti soffocati, di convulsivi sospiri: una cosa straziante, capace d’impietosire un cuor di macigno.

Don Giovanni era turbato. Mai più egli avrebbe creduto che, dopo tanto tempo, l’abbandonata soffrisse tanto dell’abbandono; aveva, sì, visto piangere molte donne, ma sapeva che non costa ad esse un gran sforzo versar qualche lacrima. Quante erano parse impazzite, che avevano trovato poi altri conforti? Egli aveva anzi supposto che la Principessa si fosse già consolata, e precisamente quest’idea, più che il rimorso od altro, aveva, dopo la rottura, ridestato in lui con un certo senso di rammarico il ricordo dell’amore disprezzato e respinto. Adesso, dinanzi a quella donna che dopo tanto tempo pareva sul punto di morire strozzata dal pianto, un immenso stupore occupava il suo spirito; a suo dispetto, il contagio della commozione gli s’apprendeva. Quell’infinito dolore era dunque opera sua? Quella donna era diversa dall’altre? O la passione sulla quale ella aveva giurato esisteva realmente?... E non sapendo nè potendo dir altro, egli tentava frattanto, con sommesse parole, di arrestare le lacrime della Principessa; e questa sentiva più forte il bisogno di fuggire, di evitare l’ultima vergogna, l’elemosina della pietà; ma la voce umile e quasi supplichevole di quell’uomo che la teneva per mano, che la chiamava per nome come al tempo antico, fiaccava la sua volontà, dissolveva i suoi propositi, l’abbandonava, cosa vinta ed inerte, nelle braccia di lui, le strappava la confessione delle torture rassegnatamente sofferte, delle speranze secretamente nutrite. E lo stupore di Don Giovanni non aveva più limite. Si soffriva dunque tanto, per amore? L’alterezza d’una donna, se l’amore l’accendeva, si disperdeva al punto da consentire alla felicità d’una rivale? L’amore esisteva dunque realmente, se era una cosa più forte della gelosia, se aveva dato a quella donna l’incredibile virtù d’una simile rinunzia e d’una simile attesa?... E due lacrime spuntarono sulle ciglia di Don Giovanni. La Principessa gli si stecchì tra le braccia. Gettato il capo indietro e guardandolo negli occhi come se gli occhi di lui fossero l’unica cosa visibile, gli disse:

— Tu piangi?... Dunque non mi respingi più?... Dunque non m’odii?... Credi adesso all’amore?... all’amor mio?... M’ami anche tu?...

Egli rispose:

— Sì.

— M’ami d’amore?... Non mi dici così perchè hai paura?... perchè ti faccio pietà?...

— No.

La Principessa avvertì finalmente, dopo più di un anno, l’impressione dell’aria che le vivificava il petto.

— Torneremo dunque, — soggiunse, pianissimo, con l’espressione dell’estasi e quasi sognando, — torneremo come fummo un tempo?...

Don Giovanni non rispose.

Egli aveva da regolare la sua situazione con quell’altra, comprendendo bene che l’abnegazione della Principessa non poteva arrivare fino ad accettar di spartirlo con la rivale. Bisognava dunque liberarsi della nuova amante; e questo che per lui, in altre condizioni, sarebbe stato affare d’un’ora, adesso gli pareva una cosa formidabile. Giacchè la nuova amante, la creatura incostante, licenziosa e decaduta che, come lui, aveva riso di tutto e di tutti, lo amava — i Don Giovanni fanno di questi miracoli — d’un amore non meno intenso, non meno profondo, non meno cieco di quello che gli portava la Principessa. Come la Principessa, ella aveva sofferto vedendo di non poterne ottenere in cambio uno eguale, e tremato all’idea di perdere quel poco che egli poteva darle. Era stata gelosa di lei quando aveva compreso che Don Giovanni ricominciava a ricordarla, ma gli aveva dato ragione, mortificandosi anch’ella per riconoscere la superiorità della rivale; e si era accusata d’indegnità e s’era torturata per non aver più nulla da immolare all’uomo amato affinchè egli credesse a quell’amore... Ma adesso Don Giovanni credeva all’amore, e la paura di procurare alla nuova amante un dolore come quello alla vista del quale egli s’era convertito, gli impediva d’abbandonarla. La Principessa gli aveva tutto sacrificato, e quell’altra, secondo il giudizio del mondo ed il proprio, era una donna perduta; ma, alla luce fattasi in lui, egli vedeva adesso che l’amore non dipende dalle qualità della persona amante nè si misura dai sacrifici che costa. Quelle due donne avevano uguali diritti su lui, ed egli quasi voleva potersi dividere fra loro, come un tempo avrebbe fatto senz’altro; ma poichè ciò gli riusciva impossibile, malediceva sinceramente il fascino che aveva esercitato, l’irresistibile potenza di seduzione della quale altre volte s’era compiaciuto e adesso apprezzava le conseguenze funeste...

La Principessa, sentendo nuovamente fuggire le sue speranze, ricominciò a implorare; ma più egli vedeva l’insanabile acerbità di quella disperazione, più capiva di non poterne cagionare una simile. Supplice ancora, l’antica amante non addusse più in proprio sostegno le prove d’amore che gli aveva date, la rovina che aveva affrontata, l’irreparabile perdita del proprio onore; non accusò di disonore quell’altra.

— Tu sei mio, — supplicò, — per quel che m’hai fatto soffrire.

Quell’altra non soffrirebbe egualmente?

Allora soltanto la Principessa chinò il capo, non trovando nessun argomento da opporre allo scrupolo di Don Giovanni.

Sa ella, invece, che cosa fanno quasi tutte le donne in una condizione simile a quella di costui? Le Donne Giovanne — veramente il loro nome è un altro!... — presumono di tenersi a fianco l’amante abbandonato ed implorante senza sbarazzarsi dell’altro per il quale l’hanno abbandonato! E sono ancora gli uomini, le menti più logiche e gli animi più dignitosi, quelli che non accettano tale situazione, e preferiscono soffocare la propria passione — ma con poco merito, dopo che hanno conosciuto che cosa valgono coteste creature...

CC BY-SA 4.0

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Ulrike Henny-Krahmer

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TextGrid Repository (2024). Collection of Italian Short Stories and Novellas (1880s-1920s). Uno scrupolo di Don Giovanni. Uno scrupolo di Don Giovanni. The CLiGS textbox. Ulrike Henny-Krahmer. https://hdl.handle.net/21.T11991/0000-001D-9D23-9