Confessione.

Pallida, tremante, quasi provasse il ribrezzo della febbre, la signora Martucci, chinatasi, accostò l'orecchio all'uscio dello studio di suo marito e stette un momento a origliare. C'era gente. Ella distingueva le voci; ma, per lo spessore della portiera, non afferrava le parole; pareva che tra suo marito e le persone che erano da lui accadesse una discussione molto vivace. Due o tre volte di sèguito, udì ripetere uno stridulo: No!... Qualcuno rideva... Un altro parlava in tono conciliante.... Ragionavano di affari. Suo marito a intervalli tossiva. Poi, rumore di seggiole smosse, voci parlanti confusamente insieme, e di nuovo quel: No! no! stridulo, che pareva fendesse anche l'uscio.... Andavano via? Che! Tornavano a sedersi!

Ella origliava ansiosa, e di tratto in tratto portava una mano al cuore. La discussione era ripresa più calma. Ora si riconosceva benissimo la voce del notaio Ciamarra, lenta e grave, da uomo esperto... Ahimè, andavano per le lunghe! La signora Martucci si rizzò su la vita, si passò replicatamente le mani sulla faccia, fece alcuni passi indietro, e lasciò cadersi, accasciata, su la poltrona: respirava appena. Sentendo tornar a stridere dalla solita voce: No! no!, balbettò anche lei:

— No, no! Non oggi; domani!

Si aggrappò a un ginocchio con le mani convulse, spalancando gli occhi attorno pel salottino, quasi cercasse riconoscere il luogo in cui si trovava, e ripetè nel suo interno la nuova decisione presa:

— Non oggi; domani!

Intanto guardava macchinalmente ne la semioscurità i mobili, i quadri, i libri e gli album sparsi sul tavolino, i vasi di porcellana negli angoli e, vicino al caminetto, il paravento giapponese su cui un animale mostruoso attanagliava con orridi artigli un uccello bianco che pareva si dibattesse nello strazio dell'agonia, proprio come ella si dibatteva in quel momento trambasciata dal rimorso.

E rabbrividiva, ricordando; e ne lo stesso tempo continuava a osservare intentamente la meravigliosa incrostatura che le pareva parlante immagine dei tumultuosi sentimenti da cui si sentiva da due ore dilaniata.

Ah, non era un'allucinazione di sensi sconvolti! Il tristo avvenimento le si presentava alla memoria con terribile evidenza; le si svolgeva nella immaginazione, quasi davanti agii occhi, con tutti i più minuti particolari, da non permettere affatto d'illudersi e di dubitarne un solo istante.

— Che infamia!....

Era inesorabile; e negli occhi le lampeggiava il disprezzo di sè per quella colpa che aveva distrutto in pochi minuti tanti anni d'illibatezza, suo grande orgoglio in faccia a parecchie amiche! In pochi minuti, lei, la pura, la casta, la superba della propria onestà, era diventata peggio di loro! Peggio anche delle infelici che si danno per fame, per vizio, per amore talvolta, e che non mentiscono a nessuno, nè tradiscono per capriccio, per malsana curiosità.... Sì, sì! Era stato un vile capriccio, una malefica curiosità, niente altro da parte sua.

— Che infamia! — ripeteva tra i denti con rabbiosa efficacia, quasi ad imprimerselo bene in mente, come un marchio da non scancellarsi più.

S'era giudicata e condannata. Restava soltanto eseguire la sentenza... E il suo giustiziere era di là, tranquillo, ignaro, occupato di grossi affari, smanioso di accumulare ricchezze unicamente per far felice colei che ne lo aveva rimeritato in così malo modo!... E se lo vedeva insorgere dinanzi col furore delle persone buone e calme, il più tremendo di tutti: e si sentiva attorno al collo la stretta delle mani vendicatrici che dovevano soffocarla e ch'ella avrebbe benedette morendo!... Voleva così! Così soltanto avrebbe espiata la sua miserabile colpa!

E se, quasi indettata da quello stridulo: No! no!, aveva ora presa la decisione di rimettere a domani la propria confessione al marito, non era perchè già si sentisse vacillare il coraggio, ma per maturar meglio le circostanze con cui metterla in atto. Oggi era troppo agitata, quasi pazza. L'accento, l'aspetto, i gesti avrebbero potuto indurre in inganno suo marito e farlo esitare pel dubbio che le si fosse improvvisamente sconvolta la ragione in una crisi di nervi. No: doveva presentarglisi risoluta, ma calma, e irritarlo maggiormente con la fredda parola rivelatrice dell'infamia commessa, e provocarlo, e aizzarlo, senza dirgli, come intendeva fare poc'anzi: Ti ho tradito! Ammazzami!... Ti ho tradito così e così! Ammazzami! Ammazzami!

— E se domani non ne avrò più il coraggio?

Rimase sbalordita all'idea della possibilità che l'era balenata alla mente, e alzò la fronte quasi ad interrogare le cose dattorno, se mai tale caso poteva darsi. La signora Martucci portò le mani alla testa, conficcando le dita fra i capelli: sentiva sfuggirsi la speranza di quella giustizia con cui voleva procurarsi un'espiazione, una purificazione e liberarsi dal rimorso che, forse, in quel punto le sembrava più terribile della morte!

— Oh, no! — esclamò, levandosi con uno scatto dalla poltrona. — È assurdo! Non sarò così vigliacca!

Si sentiva soffocare in quella penombra, e spalancò la finestra.

* * *

Guardava fuori inebetita; si strizzava le mani, ricordando che era arrivata a questo lentamente, coscientemente, con uno sforzo della volontà contro l'intima riluttanza; che aveva assistito, quasi si fosse trattato di cosa altrui, al graduale pervertimento del suo senso morale, a quella mostruosa fioritura di curiosità provocata dalle confidenze di alcune amiche che accorrevano a sfogarsi con lei come con persona tollerante e fida.

Infatti ella le ascoltava calma, mostrando la benignità della sua compassione nel sorriso che le veniva a fior di labbra, nelle lievi scosse della testa, segno d'ingenua meraviglia. Quell'ardore di passione, quell'effluvio di peccato che si diffondeva nel salottino al mormorio delle rapide parole sommesse, tra singhiozzi talora, tra convulsi da cui venivano interrotte le confidenze sgorganti; tra terrori di pericoli reali o sospettati; tra crisi di rotture e di gioie per rannodamenti inattesi; tra scoppi di gelosi furori e minacce di vendette femminili, meditate con sapiente perfidia e anticipatamente svelate, quasi addentate come frutti immaturi per gustarne l'aspro e amaro sapore: quell'ardore di passione, quell'effluvio di peccato l'avevano lasciata per molto tempo tranquilla, con la sola compiacenza di sentirsi messa fiduciosamente a parte di segreti che di rado una donna palesa a un'altra donna, quando non la stima capace di fare altrettanto.

Rimasta sola, ancora col fruscio negli orecchi della veste dell'amica andata via, e l'immagine negli occhi di un viso su cui la passione aveva stampato un'impronta dolorosa, ella si sentiva stringere il cuore di compassione per quella povera creatura che si tormentava da sè stessa ed era intanto così lieta del proprio tormento. Per lo più, quelle tre o quattro amiche che, l'una all'insaputa dell'altra, l'aveano scelta per loro confidente, non solo non avevano quasi mai niente di allegro da apprenderle, ma venivano da lei per sfogarsi di disinganni, di umiliazioni, di tradimenti patiti; o per alleggerirsi la coscienza con quelle mezze confessioni che non chiedevano un'assoluzione e non provocavano una penitenza, e pure assopivano i rimorsi.

Le parevano malate di cervello e di cuore: non osava condannarle. Stava ad ascoltarle senza annoiarsi nè stancarsi; e, da prima, senza neppur gustare, assieme col piacere d'apprendere una avventura strana capricciosa e cattiva, la soddisfazione di sapere che giammai ella avrebbe potuto commettere qualcosa di simile. Allora si era anzi domandata più volte, titubante, se esse le dicevano proprio la verità. Sospettava che volessero sbalordirla esagerando, colorendo vistosamente sentimenti e fatti che poi non avevano niente di romanzesco, nè di poetico, nè di elevato nella stessa loro nequizia. Quando però le vedeva piangere e terribilmente soffrire per le ansietà di un pericolo che le teneva sospese tra la vita e la morte e poteva produrre, tutt'a un tratto, una terribile catastrofe da coinvolgere nella rovina parecchie persone — marito, figli, parenti — allora non poteva più ostinarsi a non credere. E il cuore le si gonfiava di pietà che scusava tutto, perdonava tutto, e che per poco non abbelliva dell'aureola del martirio e dell'eroismo quelle misere creature agitate dalla passione, trascinate alla colpa da tale violenza contro cui, forse, non era possibile resistere.

A poco a poco avea preso gusto alla sua parte di confidente; se ne sentiva lusingata. Assisteva impassibile a quelle lotte, a quegli abbandoni, con lo stesso egoistico sentimento di colui che assiste a un naufragio, sentendo solido il terreno della riva sotto i propri piedi.

— Era dunque insensibile? Diversa affatto da quelle altre? Non aveva nervi? Non aveva cuore?

Se lo domandava.

No; solamente la sua benigna stella l'aveva aiutata, sin dalla fanciullezza, col buon esempio della mamma, con l'educazione ricevuta dalle sante monache del Sacro Cuore; soprattutto l'aveva aiutata col darle, sin dal concepimento, un corpo equilibrato, uno spirito sano, semplice e riflessivo, che aveva cominciato ben presto a osservare uomini e casi con molta calma e senza traveder mai. Aveva amato anche lei, di nascosto; ma il giovane prescelto però era diventato subito suo fidanzato; poi, a ventidue anni, suo marito. Moglie felice, circondata di agi e di affetto, non s'era accorta di nessun mutamento, di nessuna diminuzione dei propri sentimenti. Era rimasta innamorata del marito e non lo aveva celato, come tant'altre: aveva anzi messo un che di orgoglio nel mostrarsi tale dovunque; e per ciò nessuno aveva mai osato accennare, parlando con lei, a sentimenti che non fossero di ammirazione e di rispetto. Mai una parola sconveniente era suonata al suo orecchio; mai ella avea sorpreso in qualcuno degli amici e dei conoscenti, incontrati spesso nei ritrovi sociali, nei balli, nelle villeggiature, una di quelle occhiate che sembrano svestire una donna fiammeggiando di desideri villani.

E sapeva, quanto ogni altra, di esser bella e piacente; n'era perfino un po' vana, meno per sè medesima che per suo marito. A trent'anni, ne mostrava appena venticinque; e quando parlavano del suo carattere tutte le amiche di lei ripetevano senza malizia: — È ancora una fanciulla, come pare dal viso. — Elogio che le faceva molto piacere.

* * *

Incontratasi nelle società con alcune compagne di collegio, aveva riannodato relazioni carissime, quando appunto credeva che non avrebbe più rivedute e Amalia Brandi, già diventata signora Marratti, e Elisa Colonnello, ora signora Palorsi, e Caterina Leotri, poveretta, rimasta vedova a ventott'anni d'un capitano di artiglieria: caratterini un po' strani, immaginazioni sbrigliate, cuori leggieri e teste più leggiere ancora, che si erano buttate nel mare magno della vita, avide di piaceri, di commozioni, di avventure e che parevano invecchiate innanzi tempo, di corpo e di spirito, quantunque alcune di esse fossero più giovani di lei di qualche anno.

Non le invidiava, e non le giudicava severamente; le difendeva anzi, se erano accusate da chi, sottomano o palesemente, faceva peggio di loro. Le riceveva in casa sua, rendeva loro le visite; e in questo modo era diventata la loro confidente. Le trattava, sicura che la loro infezione non le si sarebbe attaccata. Sapeva di possedere un gran preservativo: la sua saggezza; e stimava che quel loro male, in gran parte, bisognava addebitarlo alle circostanze, o a un marito, o a una suocera, o a tutti coloro che avevan contribuito prima a farle cadere, poi a precipitarle più in basso con le malignità, coi pettegolezzi, con le calunnie anche, con tutte le vigliaccherie mascherate di morale, che le facevano stomaco e che la spingevano a contrapporsi — rimanendo amica delle disgraziate, come le chiamava — alla spregevole ingiustizia sociale.

Un giorno, suo marito messo su (ella non aveva mai domandato da chi) le avea mosso timidamente qualche osservazione intorno alla intimità con quelle signore che facevano così ciarlare di sè. E aveva soggiunto subito:

— Bada, cara Clotilde; te lo dico perchè suppongo che tu, nella tua grande semplicità, ignori i pettegolezzi della gente.

— Non li ignoro — aveva risposto. — Che m'importa di quel che le mie amiche fanno o non fanno? Io ho la mia coscienza, ed essa è un libro aperto per te.

Enrico, soddisfatto, non glien'aveva più riparlato. Adorava sua moglie come se ne sentiva adorato. E poichè il cielo non aveva voluto consolare di figli la loro unione, pensava a rimeritare la sua Clotilde con un'agiatezza corrispondente ai loro modesti desideri. Non c'erano feste, divertimenti di villeggiatura e di viaggi, soddisfazioni di lusso materiale e spirituale, consentite dai loro mezzi, a cui egli non curasse di farla partecipare. Marito e moglie si vedevano dovunque assieme come due sposi ancora nella luna di miele. Soltanto da qualche anno Enrico, impigliato nell'ingranaggio dei grandi affari, pareva un po' mutato. Ma Clotilde non se ne lagnava, non mostrava neppure di essersene accorta. I buoni affari, i grossi guadagni si traducevano in altrettante dimostrazioni di affetto per lei. Era cambiato il modo, e ne soffriva un tantino la loro vita intima, perchè gli affari sono invadenti e pigliano troppo tempo. La nuova mobilia, la nuova abitazione però, tutte le delicatezze del benessere non corrispondevano forse alle solite parole affettuose e alle solite carezze alquanto diradate? La vita è fatta così; bisogna prenderla com'è.

* * *

Ed ella si riduceva quasi tutta delle amiche con naturale diversione. Ora s'interessava dei loro intrighetti, e provocava le loro confidenze; dava a questa il comodo di scrivere una lettera; a quella di ricevere un'imbasciata. Avea parole di conforto per l'una; osava porgere qualche consiglio all'altra, profittando dell'esperienza acquistata in tanti casi diversi studiati, per dir così, su terreno neutro. E le sgridava, le ammoniva maternamente; e tentava di ritrarle, senza prediche, senza rigidità inconcludenti, dai cattivi passi dove esse si buttavano con recidiva storditaggine.

Qualche volta rifletteva, ma di sfuggita, che quella angosciosa esistenza doveva pur avere grandi attrattive, se coloro vi si rituffavano, appena scampate d'un pericolo, appena consolatesi di un disinganno. Ebbre, ribevevano per aumentare l'intensità dell'ebbrezza. Ella però era contenta di trovarsi fuori di quell'ambiente turbinoso. Piangevano troppo, le disgraziate; vivevano in continua tortura di sospetti, di palpiti, di minacce; scontavano sempre con un inevitabile gran dolore la voluttà di qualche istante. Come non se n'avvedevano?

— Ah, tu non sai! Tu non hai provato! — le disse una volta Elisa Palorsi.

— Tuo marito ti vuol bene. Non ti basta? — aveva risposto Clotilde.

— È un'altra cosa!

Questa parola di Elisa le era rimasta conficcata nella mente come una tentazione, come una suggestione che le lavoravano dentro sordamente.

Cominciò a guardare attorno a sè, per capire che mai poteva essere quest'altra cosa. Non lo sapeva forse? Era precisamente il contrario della sua vita tranquilla, di quella deliziosa serenità che le manteneva la freschezza della carnagione sul viso e un'uguale freschezza spirituale nell'animo. No, non le importava di provare. E poi, doveva provare a freddo? Il suo cuore taceva; i suoi sensi tacevano. Tutti gli uomini da lei conosciuti non valevano quanto Enrico nè per bellezza virile, nè per bontà di carattere. Non s'era mai sentita turbare da un'impressione, tanto da sospettare che anche per lei potesse esistere quell'altra cosa di cui Elisa avea parlato. Meglio così. Era difesa, naturalmente, senza nessuno sforzo da parte sua, fin contro ogni esterna tentazione. Dalle interne, che potevano scaturire da questo incosciente rimuginìo, non badava a guardarsi. Sentiva, per le confidenze delle amiche, il gusto del frutto proibito e, senza intingervi le labbra e senza correre il pericolo di rompersi un dente contro il nocciolo duro, assaggiava con qualche compiacenza quell'acre sapore; ma non lo giudicava così squisito come Amalia Marratti, Elisa Palorsi e Caterina Leotri affermavano. Voleva dire che il suo palato era sordo al pari dei suoi sensi, del suo cuore e della sua immaginazione. Capiva che questa, soprattutto, doveva avere una gran parte nel valore delle agitazioni chiamate da quelle: Vita vera. E certe volte, sempre di sfuggita, si rammaricava di esser fatta in un altro modo; quasi si vedesse interdetto qualcosa che, forse, poteva essere un senso più raffinato, più complicato, di cui non riusciva a formarsi nessuna idea, come i ciechi nati dei colori.

— Meglio così! — conchiudeva.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E il passato continuava a sfilarle dinanzi, nello sbalordimento di quel minuto esame di coscienza.

* * *

Da un mese in qua, intanto, non si sentiva più perfettamente tranquilla come prima. Provava una irrequietezza sottile sottile, ma vacua e senza scopo; un bisogno non sapeva intendere di che cosa; un desiderio ch'ella interrogava e che non le dava risposta, quasi preferisse di essere indovinato, non di palesarsi da sè. I suoi sensi rimanevan tuttavia addormentati, il suo cuore ugualmente; l'immaginazione non si accendeva di quei bagliori iridati che trasfiguravano per quelle altre la più volgare realtà. Nessuno sprazzo di luce fuori o dentro di lei. La natura rimaneva tal quale l'aveva veduta sempre: bella e serena, quando era bella e serena; brutta quand'era brutta; insignificante, se tale. E gli uomini? Nessuno di essi valeva quanto il suo Enrico. Pure...!

A poco a poco cominciò a capire: si sentiva afferrare da una curiosità morbosa che la tormentava, senza esaltarla. Voleva sapere anche lei; voleva provare anche lei!

E non se ne meravigliò, non ne fu turbata. Sorrise anzi, di quella stranezza. Invece di reprimerla, la secondò, la incoraggiò, senza dirne niente alle sue amiche; lieta di avere finalmente una specie di segreto con cui baloccarsi nei momenti stanchi, quando le visite, i divertimenti, le distrazioni della lettura non bastavano a tenerla occupata. Sì, avrebbe voluto sapere anche lei; avrebbe voluto provare anche lei! Ma come? A freddo? Grave obbiezione che la contrariava e alla quale non trovava nulla da opporre.

Era però qualche cosa di nuovo ne la sua vita quell'assillo di curiosità che tornava a pungerla ad intervalli sempre più corti.

E stava come in ascolto, se mai i suoi sensi dèssero una scossa, se mai il suo cuore provasse un palpito per qualche persona che non fosse suo marito; se mai potesse sorprendere ne la sua immaginazione un bagliore qualunque.

Niente! Niente!

Allora s'impuntò, indispettita di quell'atonia che la rendeva virtuosa per forza.

E si sentì correre un brivido per le ossa, quasi indignata protesta di tutta la sua vita; e provò uno sbalordimento, un lieve senso di ribrezzo di sè medesima.

Le parve che questo, appunto, fosse il principio d'una serie di sensazioni, di commozioni nuove. Forse anche quelle altre avevano cominciato così; infatti, su le prime, le avevano parlato di lotte, di resistenze. Ella però non si sentiva tratta a resistere e a lottare; la sua curiosità era piuttosto un atto di ricerca, qualcosa di simile a quel sentimento che spinge il bambino a disfare il giocattolo per persuadersi com'è fatto. Ella voleva provare soltanto per convincersi se era vero: fosse poi vero o no, non le importava. Se non era vero, peggio per coloro che s'illudevano. Già, una volta convinta, non avrebbe ritentato più. La sua vita era troppo lieta, troppo attraente, da voler rimutarla da cima a fondo. Quando avrebbe visto come il giocattolo era fatto, lo avrebbe buttato in un canto, non ci avrebbe pensato più.

Prendeva in ridere la cosa: si canzonava per tutte queste stramberie che le passavano per la mente. Proprio non aveva altro da fare, se si occupava di tali sciocchezze! Poteva mai essere? Avrebbe avuto il coraggio, anzi la perversità di tentare a freddo? Non rifletteva neppure che, per lo meno, bisognava trovarcisi in due! L'altro, il giocattolo, si sarebbe compiacentemente prestato alla prova? Giacchè, infine, bisognava condurre la cosa come una prova seria, come un serio esperimento: altrimenti che conchiudeva? Eh, via!... E tornava a ridere di sè medesima. Poi diventava tutt'a un tratto pensosa. La curiosità la riafferrava, la mordeva forte.

E n'ebbe paura il giorno che fra le nebbie delle sue lunghe fantasticherie, le apparve, velata sì, ma riconoscibile, la figura di Emilio Gori. Da parecchi mesi le stava attorno, con l'aria dolente e rassegnata di un innamorato senza speranza; cosa insolita per lui.

Una notte, ella lo avea sognato. La conduceva pei viali di un giardino, poi lungo un corridoio stretto e buio, dove improvvisamente irrompeva in una dichiarazione di amore, e la baciava su le labbra. Lo sdegno, per questa violenza, le avea rotto il sonno tutt'a un tratto. Ma durante la giornata, a intervalli, ella avea ripensato con dispetto a quel sogno; avea continuato a ripensarci nei giorni appresso, assaporando la strana sensazione d'un fatto tra avvenuto e non avvenuto — si trattava di un sogno — arguendo dalla viva ripercussione di quella sensazione immaginaria la intensità che avrebbe dovuto avere la sensazione reale. Giunse fin a fantasticare:

— Se il sogno si riproducesse!

Attuare, sognando, la prova che non aveva il coraggio di tentare sveglia, sarebbe stata raffinatezza affatto nuova e squisita.

Il sogno, ahimè! non si era riprodotto e la vista di quell'innamorato che non osava neppur sperare, dall'aria dolente e rassegnata, le produceva un turbamento penoso e delizioso insieme.

Avea troppo presunto di sè!

Se n'accorse quella sera ch'egli la guardava da un angolo del salotto in casa della Palorsi, fingendo di sfogliare un album di fotografie sur un tavolinetto.

Era stato caso o atto premeditato di Elisa?

L'amica l'avea condotta là per mostrarle un ritratto.

Poche parole eran state scambiate tra il Gori e lei in presenza dell'amica. Poi — caso o atto premeditato? — Elisa (con qual pretesto? Non lo rammentava più!) l'avea lasciata là improvvisamente.

E si era sentita afferrare da un violento fascino che non le avea permesso di muoversi, di allontanarsi!...

Oh, avea troppo presunto di sè!

Ora, ripensando, ella si stupiva di tutto quel lento lavorìo di perversione da cui s'era lasciata sopraffare: la sua vanità aveva aiutati i cattivi suggerimenti dell'esempio. S'era creduta diversa, oh, molto! di quelle povere teste scombussolate, di quei poveri cuori messi sossopra dall'uragano delle passioni... e il Signore l'aveva punita! L'avea lasciata cascare più giù, assai più giù di dove nessuna delle sue amiche era mai arrivata; avea permesso ch'ella commettesse il male pel solo scopo di commetterlo. Come fare di peggio?

Quelle misere creature potevano addurre per loro scusa la superficialità dell'intelligenza, la leggerezza del carattere, la impressionabilità dei nervi, gl'istinti della carne, i casi della vita, tutte le attenuanti che spiegano almeno, se non giustificano, gli errori e le colpe. Lei, no! Lei no!

Le pareva di aver agito pensatamente, freddamente, discutendo il suo disegno, preparando le occasioni, agevolando le circostanze, scegliendo, fra tanti, l'uomo che, secondo il suo giudizio, poteva appagarne più abilmente di ogni altro la curiosità, e introdurla di lancio ne le turbinose regioni dove Amalia, Elisa, Caterina, tutte le altre che ella conosceva appena di nome, eran penetrate per vie ritorte, dopo lungo cammino, lottando, superando ostacoli, segnando il suolo col sangue dei loro piedi scorticati dai sassi e dalle spine, lasciando fra i rovi, nella lor corsa affannosa, brandelli di carne viva, mettendo a repentaglio la pace domestica, il buon nome, la stessa vita, espiando la colpa quasi nel punto stesso che stavano per commetterla, se arrivavano a commetterla soltanto a quel prezzo!

Ella, invece, non s'era curata dei primi ammonimenti della coscienza, non era tornata addietro quando già poteva farlo ancora in tempo.... Senza nessuna commozione, senza nessuna ansietà aveva salito quelle scale, era entrata in quella stanza, ripetendosi:

— È questo? È questo?

E si era trovata faccia a faccia con quell'uomo, meravigliata di sentirsi colà come a uno dei soliti ritrovi, appena un po' impacciata, e riflettendo stoltamente:

— L'altra cosa verrà forse dopo!

Oh Dio! Come mai non aveva capito subito lo stupore di colui, che certamente aveva creduto dover gustare la novità di un'inesperta, e che intanto la vedeva, e la prima volta, pronta a tutto, come un'assuefatta a simili incontri, incurante fin di fingere una qualche resistenza, una lieve esitanza almeno? Ella si domandava insistente:

— E l'altra cosa?

Smaniava di soddisfare la sua curiosità di quell'ignoto di cui le avea parlato Elisa Palorsi; non vedeva l'ora.

— È questo? È questo?

Ma ogni istante che avrebbe dovuto produrle una sensazione nuova, destarle un sentimento più vivo di quelli provati ne la vita ordinaria, le recava una delusione, le rivelava una misera volgarità.

— È questo? È questo?

Là dove s'era immaginata di scoprire il mistero di quel complesso di sensazioni e di commozioni, che dovevano farle intendere il vero significato delle seducenti parole: — È un'altra cosa! — ella, all'opposto, avea trovato la nausea, il ribrezzo; e un'altra cosa, sì: l'orrore di sè stessa!

Ed era andata via barcollante, atterrita dell'indelebile marchio d'infamia che pareva già le struggesse il corpo e l'anima come un cancro divoratore; e l'idea di una pronta punizione, di un'espiazione, che soltanto la morte poteva compire, le era balenata subito alla mente e l'aveva invasa. Ella non scorgeva altro rimedio; non scopriva altra uscita!

— Morire! Confessare e morire!

Era risoluta.

* * *

Trasalì, sentendo aprir l'uscio dello studio. E alla vista di suo marito, che si accostava sorridente, spalancò gli occhi, pallida e diaccia come un cadavere.

— Che hai? Stai male?

— No.

— Tu stai male; oh Dio! — esclamò Enrico, vedendola quasi venir meno.

— Ho avuto paura — rispose. — Non mi aspettavo di vederti all'improvviso.

— Vieni — egli disse, prendendola per la mano. — Saliamo su la terrazza. Ho una cosa da mostrarti.

— Che cosa?

Balbettava, non aveva forza di parlare.

— Ma prima vieni di là.

Si mise sotto braccio il braccio di lei, accarezzandole la mano, e la introdusse nello studio.

— Guarda! — Le additava un fascio di carte spiegate sul tavolino. — Non ti dicono niente?

— Che vuoi che io sappia dei tuoi affari?

— Sono anche tuoi.

E porgendole le carte, soggiunse:

— Leggi.

Sorrideva, la guardava con aria soddisfatta, l'abbracciava, quasi, con quella piena tenerezza dello sguardo, che però le dava una terribile sensazione di freddo, come se le imponesse di leggere in quelle carte la propria condanna.

— Oh! Enrico! — ella singhiozzò, appena scorse le prime righe.

E scoppiò in un gran pianto.

— Bambina!

Egli le stringeva la vita affettuosamente, commosso di quel che gli pareva eccessivo slancio di gratitudine per quel desiderio soddisfatto con la compra di un villino a mezzo chilometro dalla città.

— È il mio sogno! — ella aveva detto più volte.

— Via! via! — soggiunse Enrico in tono scherzevole. — Se dovessi vederti ricevere a questo modo ogni mio regaluccio, mi passerebbe subito qualunque voglia di fartene. Quando piangi, i tuoi occhi non sono belli, sai?

Clotilde sentì inaridirsi tutt'a un tratto le lagrime, e non già perchè Enrico le aveva detto che col pianto le si imbruttivano gli occhi. L'enormità della colpa le appariva più evidente in faccia a quell'uomo che non sospettava neppure, che non poteva sospettare. Ah! Perchè non aveva mai sospettato? Perchè non aveva mai diffidato di lei? Perchè, invece di avvertirla fiaccamente, non le aveva imposto di romperla con quelle amiche che le avevano destato in seno la curiosità del male? Non spettava a lui, più savio, più forte, più pratico della vita, garantirla e difenderla? Ed egli, imprudente, l'aveva abbandonata a sè stessa: s'era fidato.

Abbrividì, vedendo che già accusava la bontà di quell'uomo.

— Come mi vuoi bene! — esclamò.

Gli cinse le braccia attorno al collo e lo baciò, ma in un modo quasi rabbioso, tanto che Enrico fu spinto a domandarle:

— Che hai?

— Senti!

Esitava. Aveva immensa pietà di lui, sul punto di fargli la terribile confessione. Le pareva d'invertire le parti e di colpire nuovamente chi era stato, e in altro modo, la sua vittima. Pure volle andare innanzi. Quella pietà non era un pretesto a cui cercava d'appigliarsi la sua vigliaccheria, l'amor della vita che si ridestava nel supremo istante, per renderla colpevole e mentitrice in una?

— Senti! Senti! — replicò, stringendo i denti, contorcendo le dita incrociate dietro la testa di lui nell'atto dell'abbraccio.

— Sei strana oggi! — esclamò Enrico.

— Come mi vuoi bene! — ella riprese.

E intanto, dentro di sè, ripeteva:

— Ora, subito! subito!

La lingua però non le si scioglieva.

— Non mi hai detto neppur: grazie! — egli la rimproverò dolcemente.

— Hai ragione. Sono cattiva! Noi donne siamo impastate di ingratitudine. Hai ragione; non ti ho detto neppur grazie!... Senti, Enrico... Se io fossi ben altrimenti cattiva?... Se rimeritassi il tuo affetto, la tua bontà, la tua generosità... nel peggior modo che può rimeritarla una moglie perversa...?

— Non fare ipotesi assurde! — egli la interruppe.

— Lasciami dire. Se, per tua e mia disgrazia, si dèsse mai questo caso assurdo... se io, la tua Clotilde, tutt'a un tratto,... mettiamo per un eccesso di follia...

— Ti ammazzerei! Così! — rispose Enrico con accento scherzevole, facendo comicamente il gesto di pugnalarla alla gola.

Ella si voltò rapidamente verso il tavolino, afferrò il tagliacarte di metallo, che avendo appunto la forma di un pugnale poteva benissimo ferire, e, porgendoglielo, balbettò:

— Ammazzami!... Ammazzami!

Enrico scosse le spalle e la testa, evidentemente annoiato d'una scena che gli sembrava stupida e fuori luogo.

Infatti il gesto e l'accento di Clotilde erano stati proprio teatrali, ma nel miglior senso di questa parola. Una grande attrice non avrebbe potuto pronunziare quella frase con maggior efficacia, nè fare un gesto più espressivo.

Ma che c'entrava questa burla di cattiva lega in quel momento?

E la prese per le braccia e la scostò da sè, con un po' di malumore, corrugando le sopracciglia, fissandola però per trovar la ragione dell'insolita stranezza di sua moglie.

— Andiamo su la terrazza. L'aria libera ti farà bene; saluteremo da lontano la tua villetta, il tuo sogno.

Lo seguì macchinalmente: e nel salire la scaletta a chiocciola che conduceva lassù, sentiva offuscarsi la ragione.

Non si era espressa chiaramente? Lo sciagurato non le credeva dunque? Non le credeva!

Ella non avea previsto questo caso! Ma era naturale, era ragionevole. Al posto di Enrico, non avrebbe creduto neppur lei!

Dall'alto della terrazza, in fondo a quella fuga di tetti, di comignoli, di cupole, di campanili, la campagna verdeggiava splendida sotto il sole primaverile: e laggiù laggiù, tra un ciuffo di alberi, piccina, quasi macchietta di biacca nel verde d'un quadro, la villetta, il sogno di lei, biancheggiava come una perla, e l'indice della mano di Enrico, additandola, sembrava la toccasse delicatamente.

— Eccola! È tua!

— Ammazzami!... Non mi credi dunque? — ella balbettò, afferrandogli la mano e stringendogliela forte.

Enrico la guardò stupìto.

— È uno scherzo sconveniente! Arrossiscine! Sei ammattita? — la sgridò severo.

— Ah! Dovrai credermi! — rispose.

E prima che suo marito potesse indovinare la trista intenzione, saltata la bassa ringhiera della terrazza, si slanciava nel vuoto.

Egli la vide capovolgere e sparire, strozzato dal terrore, impietrito, con le mani tra i capelli e l'orecchio intento al tonfo di quel corpo che andava a sfragellarsi sul selciato della via!

E appena comprese che sua moglie gli aveva rivelato la verità con quell': — Ammazzami! Ammazzami! — tese i pugni convulsi! Una sconcia parola gli era salita alle labbra, ma non potè pronunziarla...

— Clotilde! Clotilde! — balbettò.

E nei singhiozzi che gli impedivano di gridare, e nell'angosciosa furia, con cui egli precipitava giù per la scaletta, accorrendo, si capiva che una parola più degna e più giusta gli tremava, misero! nel cuore.

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Ulrike Henny-Krahmer

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TextGrid Repository (2024). Collection of Italian Short Stories and Novellas (1880s-1920s). Confessione. Confessione. The CLiGS textbox. Ulrike Henny-Krahmer. https://hdl.handle.net/21.T11991/0000-001D-9DAD-E